08 novembre 2022 NOSTALGIA
METTI UNA SERA AL CINEMA 33
THE FATHER, NIENTE E’ COME SEMBRA
NOSTALGIA – regia di Mario Martone
Genere DRAMMATICO - durata 117 minuti
Dopo molto tempo trascorso fra il Libano e l'Egitto Felice, diventato imprenditore benestante, torna a Napoli, la città dove ha vissuto fino ai 15 anni. Sua madre Teresa, "la sarta migliore del Rione Sanità", abita in un basso, e accoglie a braccia aperte quel figlio che credeva perduto per sempre. A poco a poco Felice riprende contatto con un mondo che aveva messo forzatamente da parte e incontra Don Luigi, un prete che combatte la camorra cercando di dare un futuro ai giovani del rione. Ma Felice ha anche bisogno di ricongiungersi con Oreste, amico fraterno e compagno di scorribande adolescenziali, che della camorra è diventato un piccolo boss. E a nulla valgono i consigli ad andarsene da Napoli e dimenticare quell'amicizia pericolosa: come se fosse possibile, lasciarsi alle spalle una città che ti è entrata per sempre nel cuore.
Nostalgia è ancora il film di un
figlio (là una figlia), un figlio adulto, un cinquantenne che torna dalla madre
per accompagnarla verso la morte, con pietà, con amore e riconoscenza, a
cominciare da quel saluto sul limitare della porta e da quel bagno rituale
immerso in un’atmosfera da pittura sacra che sono le due immagini più belle del
film. Martone non fatica a riconoscersi in
Felice Lasso, ne segue i percorsi nel suo vecchio mondo con uno stile
geometrico, facendo sovente uso del grandangolo negli spazi stretti, con un
montaggio senza strappi, facendo della Sanità non più un luogo tentacolare, ma
come un labirinto, una scacchiera. In questo spazio fortemente simbolizzato, Martone
(come sempre affiancato alla sceneggiatura da Ippolita Di Majo) cerca
in modo originale di universalizzare il suo racconto: le tre figure principali
del film, cioè Felice, Oreste, il
suo vecchio amico d’infanzia e don Luigi (ispirato
alla vera figura di don Antonio Loffredo) si
muovono ciascuna lungo una propria strada, attraverso i propri vicoli, il primo
immerso nel passato, il secondo proiettato verso futuro indistinto e il terzo
nel presente, con la sua lotta alla malavita, l’accoglienza per i rifugiati, il
recupero di ragazzi e ragazze dai destini già segnati. Il film prende poco alla
volta corpo grazie all'interazione fra queste figure, proprio come pedine su
una scacchiera che possono osservarsi a distanza, sfiorarsi, mangiarsi l'un
l'altra. I vicoli e le piazze della Sanità, le case dei suoi abitanti, la
chiesa del quartiere, la stessa abitazione che Felice acquista in attesa che la
moglie egiziana lo raggiunga, restano come luoghi più osservati che vissuti,
segno sì di un’estraneità che il protagonista non si toglie di dosso
(nonostante il simbolico passaggio dall’arabo della prima battuta al dialetto
napoletano che poco alla volta riemerge come una lingua madre), ma anche di un
desiderio del regista di tenere per una volta a bada la tentazione delle
catacombe, l’immersione nello sporco. Con questo film, Martone ha giustamente voluto raccontare, filmare,
mettere in scena un’altra città – una città della mente più che del cuore, un
luogo del ricordo più che dell'istinto, del dolore più che del trauma– sancendo
forse inconsapevolmente l’impossibilità di Napoli, così come di Felice Lasco,
di sfuggire a sé stessa.