5 febbraio 2022 BOGRE di FREDO VALLA
EVENTI
Servizio fotografico e video realizzato dallo Studio fotografico di Massimiliano BONINO
BOGRE di FREDO VALLA
BOGRE
la
grande eresia europea
di e
con Fredo Valla,
200
minuti - italiano, francese, occitano, bulgaro, bosniaco
con la partecipazione
di
Giovanni Lindo
Ferretti, Olivier de Robert
e con
Muriel Batbie-Castell,
Gérard Zuchetto, Alain Vidal, Luca Occelli, Dario Anghilante
una
produzione
Chambra
d’Oc - IncandenzaFilm - Lontane Province Film
con il
sostegno di
Film
Commission Torino Piemonte - Piemonte Doc Film Fund,
Stefan
Nojkov Foundation di Sofia, Fondazione Shapdiz, CIRDOC Institut de cultura
occitana, Istituto Lorenzo de Medici, Centro Ivan Dujcev, Espaci Occitan
Debutto internazionale al Sofia
International Film Festival
- 21 marzo 2021 -
BOGRE – La grande eresia europea di Fredo Valla
Tre ore e venti minuti sono una durata consistente per un film
– ma passano in un attimo col bellissimo documentario di Fredo Valla (regia e
sceneggiatura) Bogre - La grande eresia europea. Come Lav Diaz,
Fredo Valla dice che “un film dura quanto deve durare”. Bogre è un
grande ritratto stratificato, dove il regista viaggia tra Bulgaria, Occitania,
Italia e Bosnia in una vasta rievocazione dei Bogomili e dei Catari, e della
loro persecuzione; fondamentalmente Bogre (che è – apprendiamo dal
film – un termine derogatorio derivato da “bulgaro”, usato in area occitanica)
racconta la migrazione di un'idea. Dalla Bulgaria dei Bogomili la “grande
eresia” si spostò alla Francia di lingua d'oc (Occitania) e di lì all'Italia
del Nord e alla Toscana.
Alla base del pensiero dei Bogomili e dei Catari
sta un dualismo di origine presumibilmente iranica, che contrappone lo spirito
alla materia: divino il primo, diabolica la seconda (si può osservare per
inciso che questa dicotomia lo accomuna alla grande corrente dello gnosticismo
tardo-greco, che si origina dalla diffidenza del pensiero greco verso il mondo
materiale, da Platone fino a Plotino). Un'interessante intervista al teologo
cattolico Enrico Riparelli centra con precisione il punto nodale della
riflessione che angoscia qualsiasi religione monoteistica: unde malum?
Se Dio è perfetto, di dove viene il male? I Catari rispondevano con un dualismo
più o meno radicale a seconda delle loro chiese. Ma quanto il concetto di una
Creazione in sé cattiva fosse scandaloso per i cattolici, lo mostra bene una
lettera di Ildegarda di Bingen che sentiamo leggere a un certo punto del film.
Bogre può essere considerato un documentario storico, e per
parlarne conviene dire prima ciò che non è: non è una esposizione didattica che
scorre su una collezione di immagini di affreschi, con voce narrante e musica
più o meno classica. In Bogre l'argomento del film coincide con la sua
realizzazione. Valla si filma mentre viaggia e filma; il dispositivo viene
esibito, il regista viene enunciato apertamente come mediatore del discorso.
Questo dà all'esposizione un carattere di testimonianza.
E' dunque anche un film di viaggio, che parte dalla Bulgaria e si sposta
nella Francia del Sud, l'antica Linguadoca, roccaforte del catarismo poi
distrutta dalla “Crociata degli Albigesi”. Dalla Francia il film si sposta in
Italia, con un raccordo spiazzante: Valla guarda dalla finestra di un castello
in Occitania e al posto dell'atteso controcampo (quindi mantenendone il valore
di legame, e quindi facendoci sobbalzare) vediamo le gondole di Venezia. Di qui
il film va a esplorare la diffusione della chiesa Catara nell'antica Lombardia,
termine che indicava tutta l'Italia del Nord (da “longobardo”), e in Toscana.
Nota bene, un punto fermo nella ricostruzione storica del film è che quella dei
Catari era un'autentica Chiesa organizzata, con una gerarchia (i vescovi), con
una produzione intellettuale e con viaggi e contatti anche transnazionali.
Niente lo dimostra meglio del fatto che nel 1167 fu addirittura organizzato un
concilio cataro a Saint Felix-Lauragais, con delegati delle varie chiese
locali, sotto la presidenza del pope bulgaro Nikita.
Parlare dei Catari vuol dire anche parlare della loro persecuzione, che non
fu solo la cattura e la messa al rogo degli eretici e dei loro scritti. Il film
illustra con ampiezza la distruzione di un'intera civiltà al suo culmine,
quella della raffinata Linguadoca dei trobadours, nella crociata bandita
da Innocenzo III nel 1209. Per estensione, vuol dire parlare dell'intolleranza
in genere. Le foto novecentesche degli ebrei con la stella gialla (che poi è
l'applicazione “laica” di un segno d'infamia di origine inquisitoria) ritornano
nel film.
Il lungo viaggio di Fredo Valla si conclude in Bosnia – un nome che evoca
immediatamente guerre di religione e massacri non di ieri ma dell'oggi; e
infatti un frammento impressionante che vediamo nel documentario mostra
l'incendio della biblioteca di Sarajevo. Si sa, la guerra di religione si
intreccia sempre con la lotta politica. Per esempio, puntualizza il film, nella
Bosnia medievale lo scontro teologico fu anche una lotta per decidere – diremmo
oggi – la sfera d'influenza in cui doveva rientrare la chiesa
bosniaca fra Oriente e Occidente.
La storia e l'urgenza: sul piano fisico la materia principale di Bogre
non è la carta ma la pietra: le pietre dei castelli diroccati, quella delle
antiche tombe, quella degli scalini faticosi trasmettono una sensazione del
passare del tempo che dialoga col carattere vivo, bruciante, dell'attualità
(per questo salta fuori il ritratto ammonitore di Simone Weil).
Bogre si articola su diverse forme espressive, di cui le
quattro principali sono: la ripresa tradizionale, rinforzata dall'enunciazione
del regista e del dispositivo (camere e microfoni); la classica intervista con
didascalia di presentazione del parlante; gli interventi recitativo del
cantautore e attore Giovanni Lindo Ferretti e dell'attore francese Olivier de
Robert, su cui torneremo; l'impiego di alcune statuette (vagamente simili ai
Cardinali di Giacomo Manzù) che servono in vari punti a illustrare la
narrazione in modo astratto e simbolico: per esempio basta disporle accanto a
rametti infuocati per evocare il rogo. E' l'abile intrecciarsi di queste
quattro dimensioni, orchestrate secondo una logica quasi musicale, a rendere
vivo e agile il discorso.
Qui s'impone una digressione su Olivier de Robert. Mentre Giovanni Lindo
Ferretti, col suo viso scavato, recita (assai bene) dei testi storici, questo
magnifico attore francese, di grande espressività e con un gran dominio della
voce, inquadrato in modo fisso, porta a un testo più espositivo una
stupefacente naturalezza. Basta vedere il suo lungo monologo iniziale su cosa
significasse trovarsi in mano all'Inquisizione. De Robert ricrea il suo testo
come parlato, con variazioni mimiche e vocali, ammiccamenti, brevi
formule pleonastiche proprie della dimensione orale (tanto che spesso non
vengono neppure tradotte in didascalia), nel suo accento “largo” della Francia
del Sud. Se esistesse ancora il “cinema marsigliese” alla Marcel Pagnol
quest'attore potrebbe esserne una star.
In conclusione merita segnalare che il montaggio è firmato da
Beppe Leonetti, la fotografia da Elia Lombardo, Andrea Fantino (anche suono),
Massimiliano Nicotra e Gerardo Fornari, mentre le musiche originali sono di
Walter Porro.
Considerato il fascino dell'argomento, potrà forse interessare
qualche nota etimologica. Come avviene sempre nelle persecuzioni, la Chiesa
cattolica non si è limitata a bruciare i Catari ma ha costruito su di loro una
“leggenda nera” che si rispecchia nel lessico. Dal film di Valla abbiamo
appreso che bogre in area occitana significa persona malfidata. Ora, in
francese bougre contiene anche una connotazione di sodomia passiva
(anche in forma femminile: bougresse) – cfr. il nome Bougrelao inventato
burlescamente da Jarry nell'Ubu Roi. Ma anche il nostro “buggerare”
viene da “bulgaro”: come molti verbi relativi all'imbroglio (compreso
“fregare”) si usa oggi nel suo senso metaforico ma quello d'origine è sessuale.
Nota che l'allusione all'omosessualità è un topos in questi casi: la ritroviamo
anche con i Templari, un caso da manuale di “eresia” costruita e sovrimposta
dai persecutori.
Va poi detto che Cataro deriva dal greco katharos
(puro), ma l'etimologia popolare lo connetteva a catus, gatto, e di qui
la fantasia dei Catari che adoravano i gatti (animali diabolici) o addirittura
li baciavano sotto la coda – cosa interessante perché c'è un'anticipazione
dell'osculum infame, il bacio all'ano del diavolo che verrà attribuito
più tardi a streghe e stregoni (bene l'illustra una incisione assai nota del Compendium
Maleficarum di Francesco Maria Guaccio).
Invero le guerre, di religione e non, si combattono anche sul
campo del linguaggio.
(in http://placereani.blogspot.com/2021/08/bogre-la-grande-eresia-europea.html di Giorgio Placereani)
BOGRE – la grande eresia europea
Regia di
Fredo Valla Prod.: Chambra d’òc, Incandenza Film, Lontane Province Film
di Paolo Bertini
Ottobre 2021
Hell is empty and all the devils are here
L’inferno è vuoto e
tutti i diavoli sono qui.
W. Shakespeare, La Tempesta
Sin dalle prime immagini,
Bogre abbandona la rassicurante orizzontalità del cammino in avanti, rinuncia
da subito ad un narratore onnisciente ed esterno che tende a un fine da
raggiungere, sia esso un’idea o una tesi da enunciare. Alla stabilità della linea retta che presuppone
il racconto classico, il film preferisce l’apparente immobilità della figura
circolare, meglio ancora, preferisce il lento discendere verso il basso della
forma a spirale. Per questa ragione Bogre
ad un primo livello di lettura racconta la storia di un’eresia medievale
sconosciuta ai libri di storia e alla maggior parte delle persone. Più in basso
diventa un film politico, soprattutto quando si interroga su come e perchè quel
“potere” che, come scrive Danilo Dolci, nella sua natura implica“potenzialità”,
“forza”, “virtù”, possa ammalarsi e diventare “dominio”, ovvero sottomissione
passiva dell’altro fondata sulla paura. Ancora più a fondo Bogre è un film
filosofico: perché la morte? Qual è l’origine del male? Da dove tanta sventura?
Perché viviamo? Durante le oltre tre ore di proiezione queste domande
accompagnano lo spettatore come una sorta di controcanto sommesso al fluire
delle immagini sullo schermo. E’ però
nel punto più profondo e nascosto della spirale che Bogre si trasforma in una
preghiera laica, in un rivolgersi al
mistero del “sacro” attraverso la compassione, attraverso il “sentire” su di sé
tutto il dolore e l’amore per un’umanità
da sempre ferita, calpestata e offesa.
Nel viaggio alla ricerca
dell’eresia catara servono a poco le suggestive mappe che compaiono lungo il racconto,
con quelle macchie rosso sangue a segnare i luoghi delle stragi e dei roghi.
Le trame dei percorsi della
Storia sono segnate da sempre sulla pelle degli uomini, su ogni ruga dei nostri
corpi, anche se abbiamo disimparato a leggerle e decifrarle.
Non so se il pensiero cataro
avesse o meno ragione ad asserire che il corpo fosse solo la tunica di carne
che riveste l’anima. A sostenere che il
corpo, essendo di natura materiale e non spirituale, traesse la sua origine dal
male. Di certo, il corpo è il luogo della nostra identità, la fragile sostanza
che coincide con l’io e che contiene tutte le storie; l’unico mezzo in nostro
possesso per relazionarci con il mondo.
Per questo Bogre è un film
percorso da corpi, a cominciare da quello esile, quasi etereo di Fredo che deve
tenersi stretto alle pareti di pietra di uno dei numerosi castelli che visita
per evitare di farsi trascinare via dal vento.
La sua presenza discreta attraversa tutto il film ed è proprio quella figura
assorta, stupita e, a volte, affaticata
l’autentica bussola e mappa del viaggio. E poi c’è la presenza di
Olivier de Robert, con quella fisicità che lo fa assomigliare a uno dei
protagonisti dei film del grande Jean Pierre Melville. Quando Olivier ripete,
parlando della figura dell’inquisitore “Il peut tout” e accompagna la frase con
un gesto perentorio del braccio e della mano che unisce l’indice e il pollice,
un brivido ti percorre la schiena. Tu sei lì davanti all’inquisitore, di fronte
a quell’uomo dalla figura triste e, solo allora, comprendi sino in fondo che
“Il peut tout”. Poche rappresentazioni della forza annichilente del
potere/dominio hanno raggiunto tale efficacia.
Altre presenze attraversano lo
schermo, da quella moderna/antica
dell’attore Giovanni Lindo Ferretti, ai corpi degli intervistati, fino alle
presenze mute della troupe del film. E poi c’è la presenza più importante:
quella assente di poveri corpi silenziosi e senza volto portati via dalla
Storia e bruciati sui roghi, o nei forni di Auschwitz, corpi negati, cancellati,
martoriati. “Il peut tout”.
Se il racconto rinuncia al
tempo della linearità narrativa, prende allora il sopravvento la dimensione
spaziale. Non solo Bogre è un film di
corpi ma è anche un film di luoghi: quelli pubblici delle strade, delle città,
dei canali di Venezia o della biblioteca violata di Sarajevo. I luoghi degli
spazi aperti, quelli della memoria, quelli della Storia e delle storie; i
luoghi intimi e privati delle case, i luoghi dell’anima, quelli della coscienza
e della memoria.
Al termine del viaggio, un
ultimo luogo aspetta di essere abitato: quello segreto dello sguardo di Fredo
Valla : il punto più profondo della spirale, il posto dove tutto inizia e tutto
finisce. Quello sguardo formula una domanda silenziosa e, allo stesso tempo, apre
ad un bisogno di complicità e di aiuto. Seduto in platea, non ho risposte, non
ho parole. Posso solo restare lì in
silenzio accanto a Fredo; in due la notte sembra meno buia e, forse, ci si
sente meno soli.
Eppure
ne sono certo: è proprio nella sincerità
di quello sguardo rivolto allo spettatore che nascono il Cinema e tutte le
storie del mondo.