13 dicembre 2022 LUNANA
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LUNANA
LUNANA : IL VILLAGGIO ALLA FINE DEL MONDO – regia di Pawo Choyning
Genere Drama - durata 110 minuti
Un giovane insegnante del Bhutan moderno, che si sottrae ai suoi doveri mentre progetta di andare in Australia per diventare un cantante. Come rimprovero, i suoi superiori lo mandano nella scuola più remota del mondo, in un villaggio chiamato Lunana, per completare il suo servizio. Dopo un viaggio di 8 giorni di cammino, Ugyen si ritrova esiliato dalle sue comodità occidentalizzate.A Lunana non c’è elettricità, né libri di testo e nemmeno una lavagna. Sebbene poveri, gli abitanti del villaggio porgono un caloroso benvenuto al loro nuovo insegnante, ma lui deve affrontare lo scoraggiante compito di insegnare ai bambini del villaggio senza alcuno strumento didattico a disposizione. Preso dallo sconforto, è sul punto di decidere di tornare a casa, ma poco a poco inizia a conoscere le difficoltà nella vita degli straordinari bambini a cui insegna, tanto da sentirsi cambiato grazie alla straordinaria forza spirituale degli abitanti del villaggio.
Candidato
agli Oscar del 2022 nella categoria “Miglior Film Internazionale”, “Lunana: Il
villaggio alla fine del mondo” è la prima pellicola interamente realizzata in
Bhutan a ottenere questo riconoscimento. L’impianto registico e fotografico del film, sicuramente
per motivazioni dovute alle impervie condizioni produttive, è di livello molto
modesto, ma l’obiettivo di “Lunana” non è quello di realizzare un’opera
significativa da un punto di vista estetico. La sceneggiatura dispiega un
racconto di formazione paradigmatico – lo schema narrativo è lo stesso di film
più blasonati come “Balla coi lupi” e “Avatar” – ed è dunque estremamente prevedibile, ma
funziona nell’ottica in cui non fa nulla per distogliere lo spettatore dal
cuore della pellicola, ovvero la realtà del villaggio di Lunana e la ricchezza
della scoperta di un mondo tanto incontaminato. Il protagonista, un ragazzo di
città che sogna l’Australia, trova nelle radici culturali del suo Paese una
dimensione di vita difficilissima, ma caratterizzata da una gioia nella
sintonia con la natura che, in un periodo in cui la sostenibilità è più che mai
prioritaria, è sempre importante sottolineare. Il film è stato girato nella
scuola più remota del mondo, nel villaggio di Lunana. Il villaggio è un insediamento
che si trova lungo i ghiacciai dell’Himalaya, accessibile solo attraverso un
trekking di 8 giorni su alcune delle montagne più alte del mondo. Ci sono solo
56 persone nel villaggio, la maggior parte delle quali non aveva mai visto il
mondo fuori da Lunana. La parola “Lunana” significa letteralmente “la valle
oscura”; una valle così lontana che la luce non la raggiunge nemmeno. Il
villaggio è così isolato che ancora oggi non ci sono elettricità e collegamenti
alla rete cellulare. A causa della mancanza di strutture, la produzione del
film dipendeva totalmente dalle batterie a carica solare. Lunana si potrebbe
definire un film “turistico”, che non consegue meriti artistici ma si dimostra
in grado di coinvolgere lo spettatore nella scoperta di una realtà da
preservare.
Il debuttante Pawo
Choyning Dorji adegua il conflitto del protagonista alla spazialità rarefatta
dell’ambiente. Nel film è il viaggio tra le montagne a costituire il mezzo,
strumento e veicolo unico per la riscoperta della propria soggettività. E nel
raggiungere la remota località di Lunana Ugyen intraprende un percorso
esistenziale, più che fisico. In un pellegrinaggio dallo statuto conciliatorio,
in cui le aspirazioni di alterità
geografica (l’Australia) cedono il passo ad una forza centripeta,
rivolta adesso verso l’interno (e, dunque, verso il cuore del paese). Un
tragitto che Dorji (saggiamente) delinea attraverso l’incontro/scontro di
tecnologia digitale e spirito analogico. Vivendo nella capitale
occidentalizzata, Ugyen non ha alcuna possibilità di scoprire se stesso, con
l’ultra-digitalizzazione dell’ambiente metropolitano a cannibalizzarne i
rapporti emotivi. L’essenzialità di
linguaggio di cui si serve il film, rispecchia una semplicità di racconto che
trascende la mera cornice filmica. La propensione alla linearità narrativa,
riflette non solo la spontaneità della storia, ma anche la povertà di mezzi con
cui è stata portata sullo schermo. Nel girare su un remoto declivio di montagna
con un “cast” locale – che mai aveva recitato, né visto un film – Dorji esalta
la semplicità comunicativa a centro paradigmatico del racconto, fugando ogni
pretesa di profondità.