10 maggio 2022 LA SIGNORA DELLE ROSE
METTI UNA SERA AL CINEMA 32
LA SIGNORA DELLE ROSE
LA SIGNORA DELLE ROSE
Titolo
originale: La fine fleur
Data di uscita:02 dicembre 2021 Genere:Commedia Anno:2020 Regia:Pierre Pinaud Attori:Catherine Frot, Marie Petiot, Olivia Cote, Vincent Dedienne, Fatsah Bouyahmed, Olivier Breitman, Melan Omerta Paese:Francia Durata:105 min Distribuzione:I
Wonder Pictures Sceneggiatura:Fadette Drouard, Philippe Le Guay, Pierre Pinaud Fotografia:Guillaume Deffontaines Montaggio:Valérie Deseine, Loïc
Lallemand
Musiche:Mathieu
Lamboley
Produzione:Auvergne Rhône-Alpes Cinéma, Estrella Productions, France 3
Cinéma
La signora
delle rose è un
film che, inserendosi in questo contesto, insiste sul tema della sensibilità
legandolo ad un processo che, paradossalmente, ci rimanda immediatamente ad un
immaginario chimico-scientifico. Quando parliamo di ibridazione, infatti, lo
scenario che ci prefiguriamo è quello del laboratorio, in cui si studia il
miglior tipo di unione possibile e, attraverso il metodo scientifico, si
procede all’impollinazione artificiale. Eppure, l’ibridazione è, da sempre,
effettuata manualmente e il suo risultato è tutt’altro che prevedibile. Anzi, è
piuttosto l’esito di un’operazione in cui intervengono numerosi fattori. Il
contesto e l’attenzione ricevuta dalla rosa sono solo alcuni degli addendi
necessari per creare il giusto profumo, il corretto numero dei petali, il
colore più vivido e la robustezza adeguata.
La delicata commedia di Pinaud si
concentra proprio su questa imprevedibilità del processo di ibridazione,
mettendola in relazione con la grande incognita dei figli e dell’atteggiamento
più adatto nel crescerli. Al centro di questa doppia incognita, si trova Madame
Eve Vernet e la sua piccola azienda floreale, ereditata dal padre. La donna
(interpretata da Catherine
Frot) versa in
grande difficoltà economica e non ha le armi per fronteggiare l’incessante
industrializzazione del mercato, impersonificata dal giovane imprenditore
Lamarzelle. Così, la sua fidata assistente, a sua insaputa, assume tre nuovi
stagisti, sfruttando un programma di reinserimento sociale. I tre nuovi
dipendenti, tra cui spicca un ragazzo abbandonato dai suoi genitori e con
numerosi precedenti penali, non hanno alcun tipo di formazione botanica. Eve,
ben presto, però, vedrà in loro una concreta occasione di riscatto e crescita.
Pinaud
cattura con grande sensibilità e grazia le rose curate e cresciute
amorevolmente da Madame Vernet. Quella della donna è una produzione semplice e
casalinga frutto dell’amore con cui si occupa della sua unica famiglia. Le
rose, in questo senso, sono la metafora perfetta per rappresentare i figli che
la protagonista non ha mai avuto. Il non-avere-figli non le impedisce di
saper-essere-madre (più di chi lo dovrebbe realmente essere), infondendo amore,
speranza e coraggio nel giovane stagista, così come nelle sue rose. La missione
della donna durante il corso del film, diventa, quindi, accompagnare i tre
stagisti (e in particolare il ragazzo) in un processo di crescita, alla
scoperta delle proprie capacità celate. Pinaud sembra dirci che crescere i
propri figli non significhi produrre un ibrido perfetto, da gettare nella
società. Essere genitori vuol dire amare e curare le proprie rose, o meglio, i
propri figli fino alla loro definitiva fioritura/crescita. Ecco che essere
genitori è anche inseguire e coltivare la bellezza celata ma pronta ad
esplodere, al momento opportuno, in una meravigliosa fioritura.
E una volta sbocciati, i figli “devono poter inseguire i propri sogni, con la consapevolezza che, se
rimarranno delusi, sapranno sempre dove hanno lasciato casa“.