3 dicembre 2016 MARGHERITE Mostra Camelia
STORICO RASSEGNE > METTI UNA SERA AL CINEMA 28
Città di Verbania
all'interno della
XIII Mostra Camelia Invernale
Giardini d’Inverno seconda edizione
3-4 dicembre 2016
Il Cinecircolo Giovanile Socio Culturale
"DON BOSCO"
"DON BOSCO"
presenta
Sabato 3 dicembre 2016
ore 18:00
presso VILLA GIULIA a VERBANIA-PALLANZA
presso VILLA GIULIA a VERBANIA-PALLANZA
MARGUERITE
MARGUERITE
Marguerite
Un film di Xavier Giannoli.
Con Catherine Frot, André Marcon, Michel Fau, Christa Theret, Denis Mpunga. Sylvain Dieuaide, Aubert Fenoy, Sophie Leboutte
Titolo originale Marguerite.
Drammatico,
durata 127 min.
- Francia 2015.
-
Marguerite
perde troppo presto l'urgenza di una storia e di una riflessione,
sospendendo lo sviluppo per limitarsi alla collezione di 'fotografie'
Marzia Gandolfi
Marguerite, baronessa francese e melomane, ha sposato
per amore Georges Dumont, aristocratico che ha venduto il titolo e
scordato la nobiltà. Diviso tra motori e amanti, Georges sopporta
Marguerite e si nega al suo amore. Un amore cieco e ostinato che sublima
nel canto e davanti a un pubblico di aristocratici ipocriti, che
raccolgono fondi per gli orfani di guerra e ridono della sua
‘discordanza’. Perché Marguerite non ha voce, non ha attitudine, non ha
umiltà, non ha limiti, soltanto illusioni alimentate dal fedele
maggiordomo, dall’entourage domestico e da un marito troppo vigliacco
per disilluderla e tanto crudele da illuderla. Al riparo dalla Parigi
degli anni Venti, che ribolle di eccitazione e cultura, Marguerite
consuma le sue giornate in un ‘castello’ bucolico, sorda alla verità. A
espugnare il suo ritiro ‘artistico’ penseranno Lucien Beaumont,
giornalista e scrittore promettente, e Kyrill von Priest, poeta dadaista
e anarchico. Nella baronessa ‘stonata’ i due giovani individuano una
voce di ‘rottura’ da traslocare nei café parigini per demolire il
sistema dell’arte e per sovvertire le aspettative del pubblico borghese.
Fuori dalle sue stanze traboccanti di costumi, spartiti e desideri
infranti, Marguerite trova sfrontatezza e coraggio. Salirà in
palcoscenico e canterà questa volta per un pubblico vero. Un salto senza
rete che si schianterà contro un acuto.
Ha il nome dell’eroina di Alexandre Dumas, la baronessa francese di
Xavier Giannoli, incarnazione di una passione senza ‘voce’. Della
‘signora delle camelie’, Marguerite condivide il destino tragico, quello
grottesco lo ricava invece da Florence Foster Jenkins, ‘soprano’
americano senza colori che nell’America degli anni Trenta mise a dura
prova il suo pubblico. Impossibile applicare con le chanteuses la
‘sospensione dell’incredulità’ perché l’incongruenza della loro voce, la
loro totale mancanza di intonazione rendono la fruizione di un’aria o
di un lied insostenibile e insieme esilarante. Traslocata nella
Parigi cosmopolita, mondana e liberale degli anni Venti, Marguerite non
potrà mai compensare la mancanza di capacità o attitudini di base,
eppure questo non sembra fermarla. La percezione della propria
efficacia, sostenuta e accresciuta da consorti e amici, fa di Marguerite
una creatura insieme tragica e patetica. Con Marguerite e dopo Superstar,
Xavier Giannoli torna a parlare di ‘falso successo’ senza dare risposte
ma sollevando al contrario questioni. La menzogna (la nostra e quella
degli altri) ci uccide? Ci tiene in vita? Ci rende folli? In linea col
‘tempo’ eletto e alla maniera di Marcel Duchamp, il regista francese
‘preleva’ un (s)oggetto comune dal suo contesto e lo inserisce in uno
spazio artistico cambiandone il segno. Ma Giannoli, meno interessato
alla valenza provocatoria del gesto, solleva oggi come allora alcune
domande fondamentali riguardo ai meccanismi che stanno alla base di un
evento estetico o di uno show (teatrale o televisivo che sia). Il punto
di vista assunto è ancora una volta quello di un personaggio ingenuo e
naïf, di cui l’autore, come uno dei suoi anarchici artisti, intende la
natura ‘irriverente’. Precipitata in costumi aristocratici nel fervore
dell’avanguardia francese, Marguerite è ammirata e accolta come una
rivoluzionaria da un giovane dadaista che intuisce in lei lo scandalo,
il momento di pura negazione, l’annientamento gridato di un’aura poetica
dentro i teatri e i music hall parigini, palcoscenici delle più
imprevedibili e radicali provocazioni artistiche del Novecento. Eroina
perturbante e onirica, prima che ridicola e mesta, la Marguerite di
Catherine Frot è la magnifica incarnazione di uno spirito (suo malgrado)
ribelle e iconoclasta, una sorta di creazione dadaista lanciata contro
le convenzioni morali e culturali della società borghese (matrimonio
compreso). Marguerite è il sogno di un mondo migliore, una ‘voce di
rottura’ che vince ogni inibizione e risveglia il desiderio e
l’immaginazione. Ma qualche volta il risveglio può essere fatale se alla
demolizione del vecchio sistema non subentra una nuova normativa
estetica o peggio non ci abiti la vocazione, lo stile e l’autentica
sensibilità che gli corrisponde. A corrispondere la persuasione esaltata
e irriducibile di Marguerite è soltanto la menzogna, la crudeltà,
l’opportunismo e la pietà. Interpretato ‘liricamente’ da Catherine Frot,
declinata in melodramma, Marguerite perde troppo presto
l’urgenza di una storia e di una riflessione, sospendendo lo sviluppo
per limitarsi alla collezione di ‘fotografie’. Un film scordato che
tuttavia rispolvera il maggiordomo zelante di Billy Wilder (Viale del tramonto) e la grazia e l’implacabilità classista di Max Ophüls.