14 marzo 2023 IL SIGNORE DELLE FORMICHE
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IL SIGNORE DELLE FORMICHE
IL SIGNORE DELLE FORMICHE – regia di Gianni Amelio
Genere Drammatico - durata 130 minuti
Provincia di Piacenza, anni Sessanta. Aldo Braibanti è un intellettuale con un gran seguito tra i giovani, che frequentano la sua "factory" dove si recita, si creano installazioni artistiche, si scrivono poesie. Fra i suoi adepti c'è Riccardo, che sogna di essere apprezzato dal suo maestro ma che da lui riceve solo critiche. Un giorno Riccardo porta con sé il fratello Ettore, che ha scovato una di quelle formiche che Braibanti, anche mirmecologo, colleziona in una teca. E l'intellettuale dimostra subito gratitudine e stima verso quel ragazzo intelligente e gentile. Ma anche un'attrazione, presto reciprocata dal ragazzo, che gli costerà lalibertà e la carriera: perché Braibanti è anche un omosessuale dichiarato.
Nel
1968, Aldo Braibanti, poeta/drammaturgo/docente, schivo e innocente, amico di
Pasolini, Piergiorgio Bellocchio, Carmelo Bene, Sylvano Bussotti, fu condannato
a nove anni di carcere (ridotti a due per i suoi meriti partigiani), dopo un
processo durato quattro anni. Imputazione: plagio, cioè sottomissione morale e
fisica di una persona più giovane. Si scriveva plagio, ma si leggeva
omosessualità (reato assente dal nostro codice penale). Il “correo” era un
ventiduenne di buona famiglia che aveva scelto la propria maniera di vivere,
lavorare, studiare e amare, in netto contrasto con il perbenismo ai limiti
della superstizione dei piccolo-borghesi di una regione peraltro “illuminata”
come l’Emilia Romagna, che pensavano di risolvere le “malattie” dei propri
figli (si trattasse di comunisco o di omosessualità) mandandoli da Padre Pio.
Fu un processo politico-morale, esemplare di un’arretratezza di cuore e di
spirito dalla quale forse facciamo fatica a liberarci anche oggi. Gianni Amelio
proprio questo cerca di spiegarci con il suo accorato, doloroso, lucidissimo
film, storia di un mirmecologo (studioso delle formiche) intelligentissimo,
mite anche se talvolta iroso, maestro di recitazione e di cultura in un casale
della campagna piacentina, che tenta di aprire la testa ai giovani e che di uno
di questi s’innamora, riamato. Attraverso una costruzione narrativa non lineare
che, partendo dallo sguardo del giornalista dell’Unità incaricato di seguire il
processo da una direzione di partito che maneggia il caso come una malaugurata
patata bollente, ci porta indietro a Castell’Arquato e ai primi incontri tra
Aldo ed Ettore, e poi avanti, alla fuga romana, alla clinica nella quale i
genitori rinchiusero Ettore lasciando che fosse sottoposto a elettroshock e
ancora a pranzi domenicali agghiaccianti, a madri dolenti e mostruose oppure
dolenti e meravigliose, al dileggio ironico a mezza voce che si trasforma in
insulta becero vergato sui muri. E ci porta, soprattutto, nell’aula del
processo . Dopo poco più di un’ora di magistrale cinema, fatto di campi e
controcampi, di carrelli e zoomate che isolano i personaggi in paesaggi
dechirichiani, il film si ferma con intensità solenne e accusatoria sui primi
piani dei testimoni del processo: a macchina fissa, monologhi di volta in volta
maldestramente ignoranti (la madre di Ettore), volgarmente prezzolati (un
“ragazzo di vita” padano), appassionatamente partecipi (Ettore). La lunga
testimonianza del giovane “plagiato”, che dichiarando il suo amore per
Braibandi lo condanna al carcere, mette anche in risalto il talento del giovane
Leonardo Maltese, che affianca Luigi Lo Cascio e Elio Germano (il giornalista).
Un film dove il classicismo dello stile, puro e levigato, sfida l’assoluta
contemporaneità dell’assunto: sotto la tolleranza dispiegata non ci siamo
liberati del sospetto, dell’ignoranza, del dileggio. E nel finale, in quella
campagna dove un giradischi suona musica verdiana, non può non stringersi il
cuore per i fiori appassiti e sprecati.