26 aprile 2022 FINO ALL'ULTIMO RESPIRO
METTI UNA SERA AL CINEMA 32
FINO ALL'ULTIMO RESPIRO
FINO ALL’ULTIMO RESPIRO
Genere:Poliziesco,
Drammatico, Sentimentale Anno:1960 Regia:Jean-Luc
Godard Attori:Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville, Henry Jacques Huet, Van Doude, Claude Mansard, Jean-Luc Godard, Richard Balducci, Roger Hanin, Jean-Louis Richard, Liliane David, Jean Domarchi, Jean Douchet, Liliane Robin, André S. Labarthe, Philippe de Broca, Raymond Ravambaz, Michel Fabre Paese:Francia Durata:89 min Distribuzione:CINETECA BOLOGNA Sceneggiatura:Jean-Luc
Godard Fotografia:Raoul Coutard Montaggio:Lila Herman, Cécile
Decugis Musiche:Martial Solal Produzione:SOCIETE' NOUVELLE DE
CINEMATOGRAPHIE, LES FILMS GOERGES DE BEAUREGARD, IMPERIA
Opera rivoluzionaria, film
manifesto della generazione di registi francesi degli anni ’50-’60
definita Nouvelle Vague, penetrò negli
immaginari di tutti gli autori delle generazioni successive e smantellò il
discorso cinematografico classico tradizionale e lineare.
Jean-Luc Godard fu sicuramente il più provocatore e innovativo
tra tutti gli esponenti della Nouvelle
Vague francese. Le tecniche utilizzate dal regista, come
le riprese effettuate con la macchina a mano e i tagli di montaggio dal ritmo
irregolare, tutte utilizzate nel suo film più celebre Fino
all’ultimo respiro (“À bout de souffle”), ridefinirono
completamente la struttura e lo stile dell’opera cinematografica.
La macchina da presa di Godard sembra tallonare i personaggi,
le riprese trasmettono spontaneità e immediatezza e lo spettatore sembra
assistere a un reportage, come se il mondo venisse ripreso e registrato in modo
autentico, senza alcun filtro o artificio di costruzione del profilmico.
Lunghi piani-sequenza vengono alternati a inquadrature brevi, a frammenti di pellicola accostati e tagliati in sede di montaggio con un’andatura agitata e discontinua; le inquadrature non vengono correlate attraverso gli abituali raccordi del cinema classico, ma tramite la tecnica dei cosiddetti jump cuts.
Lunghi piani-sequenza vengono alternati a inquadrature brevi, a frammenti di pellicola accostati e tagliati in sede di montaggio con un’andatura agitata e discontinua; le inquadrature non vengono correlate attraverso gli abituali raccordi del cinema classico, ma tramite la tecnica dei cosiddetti jump cuts.
Ne consegue una nuova prospettiva cinematografica, libera e
aggressiva, un racconto che procede a sbalzi, con brusche accelerazioni che si
alternano a momenti di pausa e divagazione, nell’ambito di una continua
violazione delle regole della messa in scena.
Il film portò alla fama l’attore Jean-Paul Belmondo, al tempo
ancora giovane e pressoché sconosciuto, che nel film interpretò il
protagonista, Michel Poiccard, un giovane francese della fine degli anni ’50,
con la cravatta aperta sul collo e la sigaretta tenuta sbilenca su un lato
della bocca.
Le
espressioni del volto del personaggio, il suo vestiario, il suo atteggiamento e
la sua gestualità sono estremamente singolari. L’attore crea una dinamica nuova
di sguardi e gesti rivolti agli altri personaggi, utilizza occhiate ed
espressioni del volto esplicite e sottolineate, quasi esibendo le procedure
della propria recitazione ed evidenziando le tecniche specifiche della messa in
scena cinematografica.
Michel ripete più volte, durante il film, un gesto singolare
che lo contraddistingue: si passa il pollice sopra le labbra, con la volontà di
imitare e di citare Humprey Bogart (uno dei più grandi miti del cinema
hollywoodiano dagli anni ’30 agli anni ’50) e rimandare il suo personaggio ai
modelli del duro e del gangster americano delineati dall’attore statunitense.
Il personaggio ricorre spesso a monologhi ad alta voce, i
quali accentuano il suo esibizionismo e la sua energia. In un’occasione
interpella direttamente lo spettatore, guardando in macchina e rivolgendosi a
esso, rompendo la verosimiglianza del film e una delle regole principali del
cinema narrativo.
Michel, assieme alla protagonista donna Patricia, diventa il
prototipo dei nuovi soggetti esistenziali cinematografici degli anni ’60:
l’affermazione della libertà è per entrambi fondamentale, Michel la trova
nell’illegalità e nella trasgressione, Patricia invece si interroga
sull’esistenza, sulla libertà, sulla vita.
La sequenza più celebre del film è certamente quella
interamente girata nella camera d’albergo dell’Hôtel
de Suède; è per la gran parte costituita da piani-sequenza più o
meno lunghi che vanno a costituire quasi 23 minuti di riprese, in cui non
succede nulla di rilevante e vediamo i due protagonisti che dialogano tra loro
con libertà.
Da segnalare anche la bellissima sequenza nella cabriolet
decappottabile, in cui le angolazioni della macchina da presa sono
particolarissime e il dialogo tra i due personaggi si svolge in maniera
totalmente anticonvenzionale. I personaggi di Godard infatti parlano senza che
il regista si preoccupi di sincronizzare con l’alternanza dei dialoghi la
tecnica di ripresa del campo e controcampo tipica del cinema classico.
Il
cinema di Godard è un cinema di flusso, un cinema di libertà. L’analogia che si
crea tra la libertà delle tecniche cinematografiche e quella dei caratteri dei
due protagonisti fa emergere un nuovo modello di opera cinematografica,
rendendo Fino all’ultimo respiro il film
per eccellenza del nuovo cinema, in cui esistenza e forma artistica raggiungono
una fusione mai raggiunta prima.
Un film rivoluzionario, da vedere e rivedere; per i due attori
protagonisti superbi nella loro recitazione a tratti improvvisata e a tratti
esibita e per la continua trasgressione delle convenzioni cinematografiche
classiche; Fino all’ultimo respiro è senza
dubbio un’opera che cambiò la storia del cinema e diventò una vera e propria
lezione di stile per tutto il cinema moderno
successivo.
Un esempio su tutti, il film che è stato definito il manifesto
di una Nouvelle Vague italiana, I pugni in tasca di
Marco Bellocchio (1965) (altro film da vedere), opera piena di reminiscenze
Godardiane.